La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Un Paese in difesa: tutta colpa del virus?
22/Ottobre/2020
Archivio News

dì Lorenzo Guidantoni

A pandemia finita, nella narrazione più banale e utilitaristica si cercheranno di nascondere i mali atavici della nostra economia con l'imprevisto travolgente del "virus venuto dalla Cina".

Risulta quindi doveroso fin da oggi, nel cuore della seconda ondata, riguardare i dati di un 2020 da tregenda e giungere a conclusioni ben più complesse, per le quali il Sars-Cov2 non deve essere considerato solo il freno a mano tirato dalla storia ma anche un acceleratore di tendenze in atto da tempo.

Si parta dall'ultimo dato europeo riferito ai lavoratori a rischio indigenza e relativo al 2018, quindi ben prima della pandemia, nel quale l'Italia risultava tra le prime posizioni, con il 12% degli occupati ai margini "della soglia di povertà".

In questo senso, le 425 mila unità di occupati disperse fra agosto 2019 e agosto 2020 sono il frutto maturo che si stacca dall'albero del precariato.

Per dirla con Newton: "una mela che non cade a causa del vento ma a motivo della gravità".

Spulciando ancora nell'archivio, l'accelerazione portata dalla pandemia  ha fatto registrare in maggio -e per la prima volta nella nostra storia- un numero di pensioni superiore a quello dei contributi da lavoro.

Ma se è vero che il covid19 ha bloccato l'attività produttiva per oltre un mese, comportando il massiccio ricorso alla CIG, gli effetti della riforma "Quota 100" e il mancato turn over in molti settori non sono mannaie calate improvvisamente sulle nostre teste, bensì i risultati di un'opera di lungo corso, capace di indebolire un sistema già squilibrato.

Da ultimo, a tenere il banco di una retorica che non regge e vorrebbe il virus come unico colpevole della situazione attuale, giungono i dati diffusi nel bollettino mensile dell'ABI, attraverso i quali si registra un incremento della liquidità sui depositi anno su anno dell'8%, arrivando a quota 1.682 miliardi, in aumento di oltre 125 miliardi e a un passo dal PIL fissato intorno ai 1.787 miliardi.

In sostanza, all'interno di un'economia che gioca da tempo in difesa - e non solo da febbraio come si vuol credere - i risparmi superano il prodotto delle attività economiche già dal 2019, con una ricchezza pari a 4.446 miliardi, ovvero al 170% del debito pubblico e al 270% del PIL.

Il risparmio non cresce in maniera omogenea e resta nascosto nel conto corrente degli italiani.

Tutta colpa della pandemia?

Senza dubbio l'incognita rispetto al futuro più prossimo non stimola gli investimenti ma, anche in questo caso, l'archivio degli ultimi quindici anni ci viene in aiuto con tutta la serie di allarmi relativi alla mancanza di fiducia registrati nel tempo: una biblioteca che parte dalla crisi dei mutui subprime nel 2007, passa per la tempesta dello spread nel 2011 e arriva al marzo 2020.

Ad oggi, ma già da ieri, il dato certo è che la nostra economia non si sente bene.

E' positiva al Covid19 e lo sarà per molto tempo.

Certificata tale, banale realtà, la consapevolezza di un corpo economico e sociale sofferente per numerose patologie pregresse non può e non deve nascondersi dietro al virus che, paradossalmente, può rimescolare le carte in tavola.

Lo sforzo di alzare lo sguardo dalla tragica attualità deve trovare la consapevolezza rispetto al complesso passato e uno stimolo nelle promesse offerte dal futuro, accelerate dalla pandemia con il carico delle sue rivoluzioni inevitabili: dall'economia digitale al tema della sostenibilità ambientale.

Transizione difficile e rischiosa, per la quale altri frutti cadranno dall'albero newtoniano, tra imprese e lavoratori incapaci di stare al passo con i tempi e tagliati fuori dal nuovo mondo.

"Ma questa è un'altra storia", come cantava lo scomparso Alfredo Cerruti.