La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Ciò che si perde non si ritrova: i Fondi UE
22/Marzo/2019
Politica Economica

di Lorenzo Guidantoni

Le elezioni europee del 26 maggio si avvicinano ma, in Italia, l'importanza di questo decisivo appuntamento sembra ancora essere sottovalutata. In ciò, probabilmente, risiede uno dei mali del nostro Paese: non capire - tanto nelle dirigenze, quanto nella maggior parte dell'opinione pubblica -  che  da Bruxelles passa il futuro.

Dobbiamo partecipare ai tavoli decisivi, con competenza e tenacia, oppure finiremo ai margini, vedendo sfilare le portate principali.

In questo senso, i Fondi UE potrebbero essere una delle leve principali per il rilancio dell'economia italiana.La loro disponibilità consentirebbe di aiutare le realtà più in difficoltà del Paese, diffondere ricchezza in modo omogeneo, recuperare beni architettonici per lo sviluppo del turismo, aiutare le imprese a nascere e a restare nel sistema globalizzato, per mezzo di tecnologie che rendano il circuito sostenibile e attrattivo: potremmo, invece abbiamo speso solo un 1 miliardo sui 42.7  disponibili.

QUANTO PAGA OGNI CITTADINO?

Secondo i calcoli, un cittadino tedesco paga 286 euro annui (162 in più di quanto riceva); il più povero, quello greco, versa 140 euro, incassandone 541, ossia 401 euro in più. Ogni italiano è invece in credito con Bruxelles di 39 euro.  Nel 2017 abbiamo versato 13.8 miliardi di euro, incassando 9.5 miliardi di Fondi UE.

Se un Paese taglia il suo contributo, come ha minacciato di fare l'Italia pochi mesi fa, si va incontro ad una mora per interessi sulla somma dovuta, pari al 2,5%, più lo 0.25% per ogni mese di ritardo.

Nel piano 2014 – 2020 la UE ha stanziato a favore dell'Italia 42.7 miliardi che, aggiunti ai 30.9 miliardi di co – finanziamento nazionale, significano 73.6 miliardi da investirein programmi di occupazione, crescita, ambiente e agricoltura, con i cosiddetti fondi strutturali, i quali rappresentano la metà dei finanziamenti europei.

QUANTO UTILIZZIAMO I FONDI UE?

Poco, troppo poco. Dopo la Polonia, l'Italia è il Paese che riceve più fondi, ma, nonostante questo, abbiamo speso solo il 3% di quanto ricevuto, contro una media UE del 13% (!).

PERCHE' NON SAPPIAMO INVESTIRE I FONDI UE?

La risposta più immediata è una: ci mancano le competenze, tanto nel Parlamento Europeo, quanto in Italia, dal sistema centrale, alle Regioni, fino ai Comuni.

In Europa, i nostri rappresentanti non sono capaci di inserirsi nei tavoli più importanti, dove si decidono progetti transnazionali e si calamitano i fondi più corposi.In questo senso, la Corte dei Conti, nella relazione 2018, depositata l'8 gennaio, ha spiegato che  "la dinamica degli accrediti dipende, oltre che dalla preassegnazione dei Fondi, dalla capacità progettuale e gestionale degli operatori..".  

In Italia, infatti, anche a fronte dei Fondi provenienti da Bruxelles, l'impreparazione ad affrontare le richieste burocratiche e tecniche della UE si traduce negli impietosi numeri diffusi dalla Commissione: fra il 2007 ed il 2013, l'89% dei grandi progetti italiani presentati aveva un'insufficiente analisi costi – benefici, il 68% errori di pianificazione o di conoscenza del mercato, il 51% insufficiente valutazione dell'impatto ambientale. In sostanza, presentiamo progetti fallaci, oppure fuori tempo massimo, facendo tornare i soldi indietro.

PIGRIZIA, IMPREPARAZIONE…. E I SOLITI FURBETTI

Non contenti di essere i fanalini di coda nella capacità di spesa, siamo fra i più grandi frodatori del sistema. L'OLAF (autorità anti – frode di Bruxelles) ha visto quintuplicare le irregolarità provenienti dal nostro Paese in relazione alla spesa dei Fondi UE, nel periodo 2007 - 2013. Solo nel 2017, ultimo dato disponibile, si è passati da 927 a 1227 casi.

Si dice che "la furbizia sia la virtù di chi non ne ha altre" e guardando ai tanti casi particolari, disponibili sul web, quanto nel sito della Commissione Europea, sembra che anche la furbizia italica di un tempo stia venendo meno, ingabbiata  dalla tecnica e dai controlli incrociati.

UN CASO ESEMPLARE

Per spiegare tutti i mali nostrani - che l'Europa non ci consente di esportare fuori dal confine -  è interessante il "caso Sicilia", risalente all'inizio del 2018. Nel Gennaio 2018 il Tribunale di Giustizia UE ha confermato il taglio di 380 milioni di euro, su un totale stanziato di 1.2 miliardi, dal Fondo sociale europeo per la Sicilia.

Il motivo è spiegato dai giudici con queste parole:

  • "progetti presentati dopo la scadenza dei termini";
  • "spese relative al personale non correlate al tempo effettivo di impiego";
  • "consulenti esterni privi delle qualifiche richieste";
  • "spese non attinenti ai progetti";
  • "violazione delle procedure d'appalto e di quelle per la selezione di docenti, esperti e fornitori".