La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Pensiero di Giscard D'Estaing
30/Marzo/2020
Attualità

In questo momento storico, in cui si manifestano, a livelli di Stati europei, richieste di solidarietà da parte di alcuni e di ottusi egoismi da parte di altri, riteniamo utile raccogliere il pensiero di un illuminato e vero europeista, come il Presidente Giscard D'Estaing e provocato dalla ventilata Brexit.

Erano già fuori ripartiamo dai 6 fondatori (Corriere della Sera 27/06/2016)

«L'Italia è uno dei grandi Paesi fondatori. Il Trattato di base è quello di Roma, non bisogna dimenticarlo, l'Italia è al cuore del sistema. Adesso l'importante è che gli italiani contribuiscano alla sua evoluzione, non dobbiamo preoccuparci troppo dell'Inghilterra: quella è, ed è sempre stata, periferia», dice

al Corriere Valéry Giscard d'Estaing. Il presidente emerito arriva, con passo prudente da novantenne e lucidità ed eleganza immutate, nella sala Lamartine dell'Assemblea nazionale per parlare del futuro dopo il Brexit. Giscard è nato nel 1926 a Coblenza, in Germania, figlio del direttore delle finanze dell'amministrazione francese che allora occupava la Renania. Dopo la guerra, con il cancelliere tedesco e fraterno amico Helmut Schimdt, Giscard è stato protagonista della costruzione europea. Da presidente della Convenzione non si è lasciato scoraggiare quando nel 2005 i francesi bocciarono il suo progetto di Costituzione, provocando la prima grande crisi del processo di integrazione. E non ha paura neanche adesso: è lui che, pensando agli inglesi, ha scritto la sostanza dell'articolo 50 sull'uscita di uno Stato membro. Nel suo saggio «Europa», due anni fa, Giscard già disegnava una futura cartina geografica dove la Gran Bretagna era colorata di bianco, fuori dai confini dell'Unione. Presidente, che cosa ha pensato quando ha visto il risultato del referendum britannico?

«Non condivido tutta questa agitazione. Che cos'è in fondo l'Unione europea? L'euro, e la libera circolazione delle persone, ossia il trattato di Schengen che i britannici non hanno ratificato. La Gran Bretagna non è uscita da granché, perché quanto all'essenziale era già fuori».

Come immaginò la procedura di uscita dall'Ue?

«Quando preparavo la Costituzione europea ho scritto il testo di un articolo che poi è stato ripreso nel trattato di Lisbona come articolo 50, quello che i britannici dovranno applicare. Si intitolava "L'uscita volontaria di uno Stato membro", e rispondeva alla paura soprattutto anglosassone che l'Unione europea fosse una specie di prigione, che una volta entrati non si potesse più uscire. Trovo normale che da qualsiasi associazione umana sia consentito uscire.

Ora che lo fa il Regno Unito lasciando la Ue, non sono così impressionato. Abbandonano qualcosa di cui facevano parte solo a metà».
Non teme conseguenze gravi per l'economia?
«No, l'euro sta reggendo, le Borse hanno perso molto ma recuperano in fretta, forse gli speculatori guadagneranno milioni ma questa non è una novità mondiale».

Che fare, adesso?

«Intanto stare calmi e riflettere. Poi, ripartire dai sei Paesi fondatori. Molti citano il discorso di Winston Churchill sugli Stati Uniti d'Europa, dimenticando che già allora nella sua visione la Gran Bretagna era destinata non a farne parte, ma a seguirne la nascita con benevolenza accanto agli Stati Uniti d'America. Comunque, bisognerà evitare ogni antipatico atteggiamento di rivalsa contro i britannici. Restano i nostri vicini e amici. Negozieremo un accordo di libero scambio. Lo stiamo facendo con Usa e Canada, possiamo farlo anche con loro». Quanto a noi, dobbiamo pensare a un nuovo Trattato?

«Non mi sembra necessario. Basterebbe usare i testi esistenti. Quel che è mancata è la volontà politica, e dirigenti europei all'altezza. La nuova generazione di leader arriverà da donne e uomini brillanti nei campi dell'economia e della scienza, non dalla politica».

Colpa dei politici se l'opinione pubblica sta perdendo fiducia nell'ideale europeo?
«Non voglio personalizzare, diciamo che la politica non ha saputo dare un altro orizzonte. Negli anni Cinquanta, nell'Europa devastata dalla guerra, l'obiettivo dell'Europa era chiaro: mettere in comune carbone e acciaio per evitare un nuovo disastro. I cittadini erano d'accordo, e infatti ha funzionato. Adesso che il ricordo della guerra è svanito, serve un altro scopo chiaro». Cme " la nascita... Quale può essere?

«La nascita di una potenza che possa dialogare a pari livello con Cina e America. Inutile ripiegarci su noi stessi, dobbiamo guardare al resto del mondo. E andare avanti, per esempio con l'unione fiscale: non è possibile che tre persone che fanno lo stesso lavoro a Monaco, Milano o Lisbona, paghino tre livelli di tasse differenti. E unire il debito pubblico: se esistesse un debito europeo sarebbe il più ricercato del mondo».

Che cosa pensa dell'Italia?

«Mi ha entusiasmato il voto dei romani, capaci di eleggere a sindaco una giovane donna per lottare contro la corruzione. Ho notato anche qualche posizione negativa sull'Europa, ma credo che non scalfisca la sensibilità dell'Italia, che è il cuore stesso della cultura europea. Mi considero franco-italiano: trovo che non

esista una reale frontiera tra Francia e Italia. Ora non dobbiamo perderci nel dibattito sulla Gran Bretagna, e ricordarci che siamo una grande civiltà».