La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Lavoro nero e lockdown.
24/Marzo/2020
Attualità economiche sociali

dì Lorenzo Guidantoni

Nelle tante storie da raccontare dentro la narrazione di una crisi mondiale senza precedenti, c'è un capitolo oscuro e poco attenzionato dai mass media e dalla politica dei decreti: la quantità di lavoratori in nero che, a seguito del lockdown, si troveranno ben presto sull'orlo della miseria.

Con un PIL ufficiale che supera i 1.600 miliardi di euro annui, l'Eurispes ha calcolato che il sommerso in Italia vale 540 miliardi di euro. 

All'interno di questa ultima cifra non è presente solo l'evasione "da scontrino" ma anche gli introiti di 1.5 milioni di lavoratori in nero (dato CGIA di Mestre), che sono prevalentemente occupati nei settori dell'edilizia e dell'agricoltura.

Se le cifre dell'economia sommersa sono note, il problema sociale dei protagonisti coinvolti rischia di essere sottovalutato.

Con il nuovo blocco imposto per arginare il numero dei contagi, la produzione risulta ferma in tutto il Paese ma la spesa, le bollette, e i conti da pagare continuano a essere prontamente inviati alle famiglie italiane.

In un lasso di tempo difficile da quantificare, le risorse di quanti non hanno un reddito fisso - o svolgevano lavori saltuari prima della pandemia -  rischiano di essere erose in maniera prima definitiva e poi drammatica.

Il decreto Cura Italia ha tentato di mettere una toppa a una situazione emergenziale travolgente ma, come tutte le norme prodotte in tempi strettissimi, non ha saputo rispondere alle istanze di alcune realtà: da chi non ha accesso al reddito di cittadinanza – o non ha fatto in tempo a richiederlo – fino alla situazione delle badanti, figure centrali nel welfare familiare italiano, sono tante le particolarità ignorate nel decreto.

Il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, oggi ha richiamato l'attenzione sul mondo dell'impresa che perderà, secondo i calcoli del Centro Studi, 100 miliardi di euro per ogni mese di produzione bloccata.

I sindacati protestano richiedendo maggiore sicurezza, oltre alla chiusura di più impianti rispetto a quelli decisi con il decreto del 22 marzo.

Nel silenzio, un mondo senza rappresentanza come quello degli stagionali e dei lavoratori in nero – non per libera scelta ma per necessità – stringe la cinghia in silenzio, in attesa che la bufera passi.

La domanda è: con i tempi lunghi previsti dagli epidemiologi, quanti buchi potrà ancora contenere la cinta di questa parte della popolazione?