La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
La globalizzazione ai tempi del Coronavirus.
28/Marzo/2020
Attualità economiche sociali

di Mariana D'Ovidio

Io e l'altro, noi e voi. Da sempre, nella storia e nella sociologia, il dualismo tra l'individualismo e il collettivismo hanno convissuto o si sono scontrati, a seconda delle teorie vigenti al momento. Gli ultimi 50 anni ci hanno insegnato, a volte imponendola, la visione dell'altro come qualcosa di positivo, un valore aggiunto da dare alla nostra cultura e alla nostra economia. Dunque frontiere aperte, sempre più aperte nel corso degli anni, tendenti a farci divenire cosmopoliti, "cittadini del mondo", in nome di una individualità che doveva essere superata in quanto obsoleta , chiusa e impoverente.  Siamo figli della globalizzazione, di quel fortunato e trendy processo di diffusione, su scala mondiale, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, di tendenze, idee, modi di essere e di pensare. In questo meccanismo di condivisione, culturale ed economica, si inserisce l'europeismo, che culmina nella nascita della moneta unica, l'euro, per l'appunto. Tutto bello, tutto moderno, tutto interessante. Tutto funzionava, più o meno – si, perché di teorie contrarie ce ne sono sempre state ed hanno trovato maggiori o minori consensi, in base ai diversi momenti storici- fino all'arrivo   del Coronavirus. Un nemico forte, difficile, se non impossibile, da sconfiggere. Un nemico invisibile, che si insinua, con tenace prepotenza, nelle vie respiratorie fino ad impossessarsene, fino a togliere il fiato – e non in senso figurato, purtroppo. Questo imbattibile avversario è portato a noi dall'altro, un altro che non è un connazionale (termine che sta prepotentemente tornando di moda), ma che , in questo caso, viene dalla Cina. Ciò vuol dire che proprio le amate "frontiere aperte", le vantate facilitazioni di viaggi e interscambi economici e culturali ne hanno non solo avvantaggiato ma addirittura favorito il velocissimo  contagio. E allora immediatamente frontiere chiuse, stop alle liberalizzazioni dei mercati, si torna alla localizzazione dei beni, dei cibi.  Ma non solo. Tante restrizioni improvvise, giustificate dall'imminente necessità di proteggersi "dallo straniero", fanno crollare le certezze personali, fanno traballare la voglia di cosmopolitismo o europeismo,  in favore del ritorno di pregiudizi, stereotipi, oramai superati da anni.  Le nazioni tornano a ripiegarsi se stesse: oltre alla fine di Schengen, colpisce il protezionismo sanitario, il divieto di esportare apparecchiature mediche nel Paese vicino. L'Europa fa un balzo indietro di cinquant'anni e i più spregiudicati nazionalisti nei comportamenti concreti sono proprio gli europeisti di ieri, Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Siamo giunti alla fine di quel capitolo storico  chiamato globalizzazione? Fare una previsione attendibile in questo senso è impossibile ma, quanto finora sta accadendo, guardando le reazione dei singoli Paesi all'emergenza pandemia, fa presagire che le forze anti-globalizzazione prevarranno. Perché, effettivamente, la genesi di questa pandemia parla chiaro: le frontiere aperte sono state un pericolo. Il contagio è arrivato dalla Cina e la reticenza omertosa delle autorità di Pechino è stata decisiva per trasformare un focolaio locale, che poteva essere contenuto e controllato,  in una pandemia globale. Siamo tornati ai tempi della peste nera? Eh si, anche quella arrivò dalla Cina. Questo non vuole essere un facile e sciocco pregiudizio, ma solo una rassicurazione al pensare che il Coronavirus sia nato dalla globalizzazione. La peste si diffuse in tutto il mondo anche senza jet, navi da crociera o libero scambio. Ciò nonostante, non si può negare quanto questi aspetti abbiano influito nel fare degenerare la situazione.  Non si può  continuare a recitare il credo globalista, a invocare un mondo sempre più aperto, a demonizzare i confini. La realtà – che siamo o meno d'accordo – è un'altra,  e vede le società cercare disperatamente una risposta alle proprie paure negli  strumenti di protezione. Quando si teme qualcosa di ignoto ci si rifugia nel noto, in ciò che è conosciuto, seppur nelle sue imperfezioni. Questo è quanto sta accadendo: la soluzione al problema la si sta cercando all'interno delle proprie comunità nazionali.  L'impatto a livello psicologico è forte e pericoloso se non gestito bene e circoscritto al singolo episodio. L'effetto a livello economico è devastante e significativo: anche  il mercato unico nordamericano si rassegna a eliminare la libera circolazione e torna a delineare un netto confine tra Stati Uniti e Canada. Dove arriveremo o quanto dureranno tali misure nazionaliste e restrittive è difficile dirlo. Come, d'altro canto, è difficile pensare se mai torneremo al pre Coronavirus. E, semmai accadesse, come ci torneremo?