La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Italia bloccata. Problema n.2: la difficoltà di fare impresa
10/Gennaio/2020
Attualità economiche sociali

dì Lorenzo Guidantoni

Nella lunga catena che blocca il motore economico della macchina italiana, dopo il rigido anello del debito pubblico trattato nella prima indagine del 2020 (http://www.tempofinanziario.it/archivio-news/attualita-economiche-sociali/italia-bloccata-problema-n-1-il-debito-pubblico) , spostiamo la lente su un'altra annosa questione: la difficoltà di fare impresa nel nostro Paese.

Il sistema produttivo italiano è basato sulle PMI (Piccole e Medie Imprese), nella misura di 5,3 milioni di aziende che, secondo l'ultimo dato disponibile relativo al 2017, danno occupazione ad oltre 15 milioni di persone, generando un fatturato complessivo di circa 2.000 miliardi di euro.

Scavando ancora più a fondo nella realtà dei numeri, si noti che di questi 5.3 milioni di aziende oltre il 99% sono realtà con meno di dieci dipendenti, i cosiddetti POE (Piccoli Operatori Economici).

La scheletro di questo nostro sistema produttivo ci ha messo davanti ad un problema palesatosi negli ultimi 10 anni: affrontare le sfide della globalizzazione rifiutando il gioco al ribasso delle economie emergenti e puntando su tecnologia, innovazione, ricerca.

In questo senso, il mea culpa deve essere generale: tanto della politica, inabile a preparare terreno fertile per gli investimenti, quanto di molti imprenditori, incapaci di prevedere con anticipo un cambiamento epocale del mercato, più propensi alla vendita o al vivacchiare, nonostante il peso di una pressione fiscale e contributiva montante.

Se la prudenza spesso paga, la paura paralizza; ma, oggi, per qualunque impresa, fare affidamento solo sulla domanda proveniente dal proprio territorio di appartenenza è impossibile, evitare la tecnologia improbabile, rinnovarsi necessario. 

Dentro un complesso basato sulle PMI, realtà che non possono competere con la liquidità e le strutture delle multinazionali,  la politica ha cercato sin quì di risolvere il gap e i cicli economici sfavorevoli per lo più attraverso inutili e costosi incentivi "a pioggia". 

Da questo complesso di aiuti pubblici - di cui spesso è anche difficile usufruire -  si salva il progetto dell'industria 4.0, tornato in auge in questi mesi ma che, a sua volta, si rende simbolo di un capitolo ancora più doloroso nel rapporto fra politica ed imprese: il messaggio paralizzante dell'incertezza, perpetuato nell'avvicendamento dei vari governi e nei cambi di rotta politici che spiazzano gli investitori, favorendo paradossalmente i nostri competitor.

Nel frattempo, per il 2020, l'indice delle PMI italiane, che raccoglie le previsioni dei direttori acquisti su produzione, ordini e occupazione, è in calo al 46.2 : il livello più basso dall'aprile 2013. 

Di fronte alla globalizzazione, che sta già cambiando pelle passando dal rapporto costo di produzione/velocità di trasferimento delle merci, a parametri calibrati su costo di produzione/qualità di fattura/velocità di trasporto, è facile comprendere come la snellezza di fisco e burocrazia siano di vitale importanza per non oberare realtà già ridotte nel numero di risorse atte ad interfacciarsi con lo Stato ed i suoi apparati.

Purtroppo, però, il sistema fiscale e burocratico tricolore è tutt'altro che efficace.

La CGIA di Mestre ha recentemente condotto uno studio in cui ha calcolato il costo sostenuto annualmente nella gestione dei rapporti con la PA in 57 miliardi di euro, per un valore pari a 3 punti di PIL, con un ritardo nei pagamenti dei fornitori fra i più lunghi, ed un debito commerciale dello Stato che ammonta a 54 miliardi di euro. Cifre record, a cui si aggiunge un costo del lavoro fra i più onerosi all'interno delle grandi economie in zona UE.

Per quanti vogliano affacciarsi oggi sul mercato la via non è meno impervia. Nel caso di un salone di acconciature, prima di alzare la serranda il malcapitato imprenditore dovrà adempiere a 65 moduli e richieste, interfacciandosi con 26 enti diversi.

Le grandi realtà aziendali non sono esentate da questo pantano, particolarmente nei settori delle infrastrutture e delle costruzioni, dove si registra un ampio lasso di tempo tra il bando di gara e l'inizio dei lavori, con costi di produzione mutati, e un 54.5% delle ore lavorate necessario per l'assolvimento di carte, permessi, certificazioni etc, come riportato da Il Sole 24 Ore nell'ottobre 2019.

Ultimo dato per definire un quadro ben poco rassicurante, quello relativo al credito alle imprese. Se i finanziamenti bancari sono il polmone principale in cui le aziende italiane trovano ossigeno vitale, i dati proposti dal Corriere della Sera del 31 dicembre 2019, ed elaborati dalla Banca D'Italia, ribadiscono che le consistenze del credito bancario alle imprese non finanziarie sia letteralmente crollato dal 2011 ad oggi, facendo scivolare l'Italia dalla 44° alla 58° posizione nella classifica "Easy doing business".

In questo contesto, la vera impresa sembra quella di riuscire a sopravvivere.