La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Il Supply Chain Finance (il credito di filiera): una nuova opportunità per il settore bancario?
15/Maggio/2020
Attualità economiche sociali

di Alfonso De Lucia Lumeno

Il fenomeno del credito di filiera. 

Inutile negare che l'industria bancaria dalla crisi finanziaria del 2007-2008 non si sia più ripresa completamente ed il mercato del credito (rispetto ai numeri pre-crisi) è ormai caratterizzato da una situazione di credit crunch. Inoltre, l'attuale emergenza epidemiologica da Covid-19 apporterà soltanto peggioramenti comportando una drastica diminuzione delle imprese aventi merito creditizio (secondo le regole bancarie attuali).

Da ciò ne deriva la necessità per l'industria bancaria di individuare nuove forme di sviluppo ovvero nuovi sistemi per implementare i fatturati delle banche mediante – preferibilmente per l'economia reale – un aumento dei flussi derivanti dall'attività tradizionale bancaria (depositi bancari e concessione di finanziamenti). Con il presente articolo si intende approfondire le opportunità di business derivanti dal credito di filiera, in primis riportando una serie di dati analizzati dall'Osservatorio Supply Chain Finance istituito presso il Politecnico di Milano e avente come partners e sponsors primarie banche e istituzioni finanziarie.

Il fenomeno del credito di filiera si caratterizza per l'erogazione di finanziamenti (consistenti anche nella prestazione di garanzie) da parte di un soggetto appartenente alla stessa filiera produttiva e/o distributiva dei soggetti beneficiari (solitamente il capo filiera come ad esempio i casi emblematici di Gucci e delle aziende dell'imprenditore Renzo Rosso). Il capo filiera quindi, forte del proprio merito creditizio, interviene supportando finanziariamente le imprese con le quali intrattiene stretti rapporti commerciali[1] sia mediante la concessione diretta di finanziamenti, sia mediante la prestazione di garanzie a fronte di un finanziamento erogato da una banca.

La conformità del credito di filiera all'ordinamento italiano è chiarita con il decreto del 2 aprile 2015, n. 53 del Ministero dell'economia e delle finanze che esclude dalla qualifica di "concessione di finanziamenti esercitata nei confronti del pubblico", i finanziamenti concessi, sotto qualsiasi forma, da produttori di beni e servizi o da società del gruppo di appartenenza, a soggetti appartenenti alla medesima filiera produttiva o distributiva del bene o del servizio quando ricorrano le seguenti condizioni: 1) i destinatari del finanziamento non siano consumatori né utilizzatori finali del bene o servizio; 2) il contratto di finanziamento sia collegato a un contratto per la fornitura o somministrazione di beni o servizi, di natura continuativa ovvero di durata non inferiore a quella del finanziamento concesso. 

Quindi, il meccanismo è conforme alla normativa se si tratta di un rapporto B2B e se tra le imprese sia stato stipulato un contratto per la fornitura o somministrazione di beni o servizi.

Tuttavia, perché tale realtà dovrebbe comportare un vantaggio all'industria bancaria? Ad avviso di chi scrive i vantaggi sono plurimi:

  1. imprese non aventi merito creditizio, mediante la garanzia dell'impresa capo filiera (soggetto solvibile), possono accedere al mercato del credito con più facilità e possono quindi essere dei nuovi clienti per il settore bancario;
  2. mediante il soggetto capo filiera, la banca o altro intermediario finanziario riesce ad acquisire nuove imprese clienti (tutte solvibili grazie alle garanzie del capo filiera) senza dover avere una articolazione territoriale mediante le filiali;
  3. l'automazione nell'erogazione dei finanziamenti (l'istruttoria sarà inevitabilmente semplificata se il finanziamento rientra nel "plafond" concesso dal capo filiera nell'ambito di un accordo quadro tra questo e la banca, concede nuove opportunità di innovazione al settore bancario (c.d. fintech);
  4. nuove professionalità legate al meccanismo del credito quali l'istituzione da parte della banca di un dirigente preposto agli accordi di filiera e dedito esclusivamente all'ampliamento dei flussi.

Un mercato inesplorato.

In Italia il Supply Chain Finance - l'insieme delle soluzioni per il finanziamento del capitale circolante che fanno leva sul ruolo delle aziende all'interno della filiera - è ormai un ecosistema consolidato che coinvolge tanti attori, offre opportunità concrete per il finanziamento delle imprese e inizia a essere accessibile anche alle PMI che rappresentano il 97,3% delle imprese registrate in Italia, con un fatturato medio inferiore ai 10 mln e che hanno, a causa della contrazione del credito, difficoltà di accesso al credito tradizionale. Il mercato potenziale allo stato attuale resta ancora ampio e in crescita stimando una quota di mercato non servito pari a oltre 400 miliardi di euro dopo la Francia (662 miliardi di euro) e la Germania (503 miliardi di euro).

In Italia detto mercato risulta ancora dominato da strumenti di tipo tradizionale: l'anticipo fattura, cioè il finanziamento delle fatture non ancora riscosse e il factoring, la cessione di crediti commerciali vantati da un'azienda verso i debitori. Nell'ambito di questa voce cresce l'utilizzo dello strumento del reverse factoring, che permette ai fornitori di sfruttare il merito creditizio di un'azienda cliente per ottenere prezzi più bassi.

A spingere verso un più ampio utilizzo della gestione dei crediti commerciali non c'è solo la quota di mercato non servito ma anche altri indicatori. I tempi medi di incasso dei crediti commerciali si attestano sui 78 giorni, contro una media europea di 47. I tempi medi di pagamento dei debiti ai propri fornitori sono di 137 giorni in Italia, contro 65 nella Ue: valori elevati soprattutto perché a pagarli sono principalmente gli attori più piccoli della filiera.


[1] Ci si riferisce ad esempio all'artigiano produttore di pellame rispetto alla società di moda, oppure al singolo tabaccaio rispetto alla società distributrice dei prodotti del tabacco e via dicendo.