La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Una finanza mista pubblica-privata per uscire dalla crisi
28/Ottobre/2019
Attualità economiche sociali

Il 2018 ha visto gli investimenti pubblici annullare il piccolo miglioramento registrato nel 2017 e tornare ai livelli minimi degli ultimi 20 anni (35 miliardi di €) con un calo complessivo del -40% dalla grande crisi del 2009.

E, come storicamente accade, all'interno dello scenario nazionale, si evidenzia un forte gap tra nord e sud, dove la situazione è peggiore. Infatti, il livello di investimenti nel meridione tra il 2014-2017 si è fermato allo 0,38% del PIL con un 20% in meno di risorse, rispetto agli obiettivi concordati nell'accordo di partenariato con Bruxelles. Sembra quasi paradossale il rimprovero che abbiamo subito dall'Europa, per avere speso troppo poco al Sud, quanto meno in misura tale da non rendere i fondi europei l'unica fonte di ossigeno per l'economia (si tratta del c.d. principio dell' addizionalità, che impone l'utilizzo dei fondi strutturali solo in aggiunta ad ulteriori capitali pubblici e privati): sarebbe grave se la violazione di questo principio dovesse provocare un taglio dei fondi strutturali.

Ma se il settore pubblico non investe, a questa mancanza può supplire il privato? Per inquadrare meglio il problema, bisognerebbe partire da un paio di punti:  se i numeri del risparmio nazionale investito in strumenti finanziari si aggira grosso modo intorno ai 4.000 miliardi, circa un quarto di esso, 1.000 miliardi rimangono nella forma di disponibilità liquide a rendimento nullo, depositate nei sistemi bancario e postale. Il dato è sintomatico  delle incertezze che caratterizzano la vita economico-finanziaria delle famiglie e delle imprese italiane. Il recente impatto dei tassi di interesse negativi che, per la prima volta in 5 anni, saranno parzialmente trasferiti ai depositanti oltre i 100.000 €, potrebbe addirittura creare costi addizionali per i risparmiatori.

Andando avanti e analizzando distribuzione anagrafica di questa liquidità, vediamo che quasi il 40% si trova nelle mani degli over-60 che, per ovvi motivi,  sono meno propensi  ad investimenti  di medio-lungo periodo.

Queste sono le condizioni al contorno; cosa si è fatto fino ad ora per sviluppare una soluzione ad hoc in grado di incanalare verso investimenti di ampio respiro nell'economia reale questa liquidità? 

In tale prospettiva, qualche tentativo è stato fatto per indirizzare parte del risparmio nazionale verso le piccole-medie imprese italiane, attraverso la soluzione dei PIR (i Piani Individuali di Risparmio). Si tratta di un'architettura finanziaria che, da gennaio 2017 a fine giugno 2019, ha consentito di raccogliere 18,5 miliardi. Il varo dei PIR può essere ritenuto forse il primo intervento in Italia dall'inizio della crisi che tiene in considerazione il principio del moltiplicatore degli investimenti.

Purtroppo, però,  la stagnazione economica e un'accresciuta avversione al rischio da parte degli investitori hanno bloccato la crescita negli ultimi trimestri. Confidiamo in una ripresa della fiducia degli investitori, siano essi pubblici o privati, in quanto  un mix di questo tipo potrebbe essere la chiave di volta per uscire dall'attuale crisi economica.