La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Si scrive Italia ma continuiamo a leggere Nord, Centro, Sud
14/Settembre/2018
Politica Economica

E' singolare – ma non del tutto – che una presunta lettera inviata da Andrea Camilleri a Francesco Merlo, di Repubblica, e diffusa sul web, abbia consentito di mettere sotto radar, da diverse angolature, la secolare questione meridionale.
E' chiaramente una fake news, costruita attorno ad una lettera composta dal "Movimento per la Sicilia libera per l'indipendenza della Sicilia", nel 2011.
In essa venivano messi in bella evidenza l'opulenza del Sud, prima dello Stato unitario, e le malefatte del Nord.
Pur non volendo entrare in questo dibattito, che è anche abusato, con una certa superficialità, cerchiamo di trarre, da questa amena situazione, qualche spunto di riflessione.
In una intervista rilasciata dal Direttore dello Svimez, Luca Bianchi, sono poste in evidenza alcune situazioni che consentono di vedere, con la forza dei dati, un Mezzogiorno non più come palla al piede del Paese, ma come forza trainante dalla quale potrebbero nascere determinanti stimoli per una rapida crescita del Paese.
Il Sud attiva con la sua domanda interna circa il 14% del Pil del Centro – Nord.
Ciò significa che la domanda, spinta dai consumatori meridionali, ha comportato una spinta alla produzione del Nord, pari a 177 miliardi di euro.
Queste cifre confermano il rapporto interattivo esistente tra le due aree del Paese, consentendoci di dire che, pur a diverse velocità, Nord e Sud crescono o arretrano insieme.
Luca Bianchi parla di "interdipendenza mutualmente benefica".
In linea con il rapporto interattivo, gli investimenti nelle infrastrutture nel Mezzogiorno influirebbero anche sulla capacità di incremento del turismo, sulla vivibilità e sulla possibilità di attrarre capitali esteri, per tutto il Paese.
In tale prospettiva bisognerebbe puntare più che sulla diminuzione delle tasse, capace di determinare un incremento dello 0,19 % di PIL, sugli investimenti pubblici, in grado, con un solo euro aggiuntivo, di generare uno sviluppo di reddito pari a 1,37 euro.
Sull'onda di queste considerazioni, vogliamo fare un passo avanti.
Oggi, parlare di "Ponte" nel nostro Paese, alla luce di quanto successo a Genova, è quanto meno "social incorrect".
Il Ponte sullo Stretto di Messina, però, comunque lo si voglia vedere, avrebbe dato, con la sua realizzazione, una scossa all'economia, trascinando investimenti nell'alta velocità, nelle infrastrutture stradali e ferroviarie in Sicilia e Calabria, nel turismo etc.
Ormai è storia passata e va catalogata come un'occasione persa, per la crescita della Sicilia e del Sud.
A questo punto, rinnovando l'esigenza - che nessuno può contestare - di un collegamento fisso dell'isola con il continente, perché non fare riemergere dai cassetti un vecchio progetto che era, a memoria, negli anni 60/70 sostenuto dall'ENI, denominato "Tunnel di Archimede"?
Sempre sul filo della memoria, in quegli anni, esistevano due orientamenti: l'IRI, con il sostegno di Giulio Andreotti, indirizzato verso l'idea del Ponte; l'ENI, che spingeva per il tunnel.
Sappiamo come è andata a finire.
Si è voluto dare uno spunto di riflessione, non del tutto velleitario. Teniamo da conto che, sotto un profilo realizzativo, in quasi cinquanta anni, probabilmente, la tecnologia ha avuto avanzamenti tali da fare superare gli ostacoli che c'erano per la costruzione del tunnel (correnti marine, profondità delle acque, rischio terremoto etc.).
Non crediamo che la realizzazione dell'Eurotunnel nella Manica abbia dovuto superare ostacoli inferiori. Esso è lungo 50 km, contro i soli 3 km del Tunnel dello Stretto di Messina.
Si riproporrebbe un sogno che in questi tempi incerti, forse, un'opinione pubblica più matura potrebbe voler cullare!