La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
La giurisprudenza di legittimità ed i suoi risvolti per gli intermediari. Il responso della Suprema Corte a Sezioni Unite sull'uso selettivo della nullità del contratto quadro per servizi di investimento (sentenza n. 28314/2019).
19/Febbraio/2020
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di Marco Orlando

Con la sentenza n. 28314/2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse sulla determinazione delle conseguenze giuridiche della declaratoria di nullità per difetto di forma scritta (ex art. 23, comma 3, del D.lgs n. 58 del 1998 o "TUF") di un contratto quadro di intermediazione finanziaria.

La decisione si incentra sulla potenziale estensione degli effetti di detta nullità alle "operazioni" effettuate sulla base di ordini di investimento impartiti in forza dello stesso contratto quadro dichiarato nullo, ma che, non avendo generato "perdite", non hanno formato oggetto di contestazione in sede giudiziaria da parte del cliente.  

Premesso che nella pronunzia in discorso è pacifica la qualificazione del contratto quadro d'investimento come contratto di mandato  e degli ordini di investimento come istruzioni impartite dal mandante-cliente al mandatario-intermediario per l'esecuzione del negozio (art. 1711, comma 2, c.c.), il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte è il seguente: "La nullità per difetto di forma scritta, contenuta nell'art. 23, comma 3, del d.lgs n. 58 del 1998, può essere fatta valere esclusivamente dall'investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell'accertamento operano soltanto a suo vantaggio. L'intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l'eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro".

E' un arresto giurisprudenziale di estrema rilevanza per le società che prestano servizi di investimento, sia perché l'obbligo di forma scritta ad substantiam di cui all'art. art. 23, comma 3, del TUF è riferibile alla prestazione di tutti i servizi di investimento e, in genere, delle attività prestate dagli intermediari[1] , sia perché, sino ad oggi, gli intermediari sembravano non disporre di alcuna sostanziale tutela a fronte della cosiddetta pratica del cherry picking, ovvero dalla scelta dell'investitore di limitare strategicamente la domanda di nullità alle sole operazioni in perdita, tralasciando le altre. Rischio, questo, che pure la dottrina aveva da tempo segnalato[2].

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Per comprendere gli effetti concreti che questa sentenza potrà avere sulla gestione del contenzioso da parte degli intermediari è necessario compiere alcune considerazioni sulle motivazioni rese dalla Sezioni Unite e sui precedenti in materia della stessa Suprema Corte.

Prima del recente intervento delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità aveva espressamente negato una tutela di questo tipo[3] o l'aveva astrattamente riconosciuta, senza però offrire riferimenti che ne consentissero una concreta applicazione processuale[4]. 

Nè sul tema ha potuto intervire la Consob, trattandosi essenzialmente di una questione interpretativa; e ciò pur nella consapevolezza che l'attività di vigilanza è finalizzata non solo a salvaguardare la fiducia nel sistema finanziario, a tutelare gli investitori e a garantire l'osservanza delle disposizioni in materia finanziaria, ma anche a garantire la stabilità, il buon funzionamento e la competitività del sistema finanziario (art. 5, comma 1, TUF). 

La Cassazione, nella sentenza in esame, nel ricostruire in via sistematica la categoria giuridica delle c.d. nullità di protezione (categoria nella quale rientra la previsione di cui all'art. 23, comma 3 del TUF), non solo ha affermato che tale tipologia di nullità, in quanto finalizzata alla protezione dell'investitore, possa essere attivata solo "a vantaggio esclusivo del cliente" ma ha anche precisato che, per lo stesso motivo, essa possa essere rilevata anche d'ufficio dal Giudice. 

Per contro, proprio al fine di valorizzare correttamente (e non in modo ultroneo) la finalità di protezione, il rilievo della nullità non può travalicare il dovere delle parti, costituzionalmente fondato, di agire secondo buona fede e correttezza nell'esercizio dei propri diritti in sede giurisdizionale.

Occorre quindi chiedersi, prosegue la Corte, se la domanda di nullità possa legittimamente riferirsi in modo "selettivo" solo ad alcune specifiche operazioni (evidentemente quelle che hanno generato una perdita) tra quelle poste in essere dall'investitore nell'ambito del contratto quadro di cui è richiesta la nullità.

Per rispondere al quesito, la Suprema Corte, dopo aver ripercorso le opposte interpretazioni sinora riscontrate sul tema - una favorevole ed una contraria alla possibile estensione della domanda di nullità alle operazioni non contestate - ha individuato una possibile terza via interpretativa, incentrata sul bilanciamento tra i principi costituzionali che tutelano, da un lato, l'iniziativa economica e, dall'altro lato, il risparmio (artt. 41 e 47 Cost.). 

Sulla base di tale bilanciamento di interessi, la Corte precisa (i) che l'eccezione di violazione dell'obbligo di buona fede formulata dall'intermediario non è esclusa, ma è ammissibile solo nei casi in cui si possa ravvisare, nell'esercizio selettivo del diritto, una volontà specifica di arrecare un pregiudizio economico all'intermediario e (ii) che la ricerca di tale intento "speculativo" debba essere condotta alla stregua di quanto è previsto negli articoli 1993, comma 2, c.c. e 2384, comma 2, c.c. i quali - in ambiti diversi da quello in esame (rispettivamente in tema di eccezioni opponibili in materia di titoli di credito e di difetto dei poteri in capo ad un amministratore di una s.p.a.) - subordinano l'esperibilità di determinate eccezioni alla prova che chi formula la contestazione abbia agito "intenzionalmente" in danno dell'altra parte.    

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Sin qui la linea interpretativa è suggestiva, ma avrebbe rischiato di non fornire ancora indicazioni concrete per consentire agli intermediari di comprendere se, nei singoli casi, sia davvero possibile fornire una prova dell'intento "fraudolento" del cliente nell'esercizio del suo diritto.

La Suprema Corte per questo offre, nelle ultime pagine della motivazione, uno spunto argomentativo ulteriore affermando che - per valutare la correttezza dell'utilizzo selettivo della domanda di nullità - si devono esaminare gli investimenti complessivamente eseguiti dal cliente " … ponendo in comparazione quelli oggetto dell'azione di nullità, derivata dal vizio di forma del contratto quadro, con quelli che ne sono esclusi, al fine di verificare se permanga un pregiudizio per l'investitore corrispondente al petitum azionato".

In sostanza, secondo il pragmatico criterio seguito dai Giudici di legittimità, si può ritenere censurabile l'uso selettivo della nullità di protezione, in quanto oggettivamente finalizzato ad arrecare un pregiudizio all'intermediario, in tutti i casi in cui gli ordini non colpiti dall'azione abbiano prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio confluito nel petitum.

La ratio della decisione in esame si pone esplicitamente in linea di continuità con la sentenza n. 898/2018, con cui le stesse Sezioni Unite della Suprema Corte - approcciando il tema della nullità relativa sotto un diverso punto di osservazione - avevano già di fatto circoscritto la possibilità di accoglimento delle domande incentrate sulla violazione dell'obbligo di forma stabilito nell'art. 23, comma 3 del TUF, evidenziando come tale obbligo - essendo sostanzialmente finalizzato a garantire un'adeguata informativa al cliente sul contenuto del contratto quadro di intermediazione - può ritenersi assolto una volta che sia provata l'effettiva consegna all'investitore di tale contratto, che quindi resta valido anche in assenza di una firma riconducibile all'intermediario.  

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Torniamo ora all'analisi dei dicta espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 28314/2019 in un'ottica concretamente ispirata ad offrire indicazioni operative alle società convenute in controversie in cui si dibatte della nullità del contratto quadro di intermediazione.

Affinché possa operare l'effetto "paralizzante" dell'eccezione fondata sulla violazione del dovere di buona fede, è necessario anzitutto che tale eccezione – rectius, i fatti costitutivi da porre a fondamento della stessa – sia(no) stata(i) oggetto di specifica allegazione in giudizio da parte dell'intermediario.

Va infatti evidenziato, secondo quanto precisato dalla Corte, che l'eccezione di buona fede, pur non essendo qualificata come eccezione in senso stretto, deve essere comunque oggetto di rilievo da parte dell'intermediario che intenda avvalersene.

Sotto altro profilo occorre poi valutare se sussistono i presupposti affinchè l'eccezione di buona fede possa trovare accoglimento e – conseguentemente – se sussista un concreto interesse alla sua proposizione.

A tal fine, nell'impostare le difese in un contenzioso in cui venga richiesta la nullità ex art. 23, comma 3, TUF di determinati investimenti, occorrerà verificare, nel rispetto del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, quale proporzione sussista tra il petitum e l'eventuale vantaggio economico ricevuto dal cliente con riguardo agli altri investimenti effettuati nell'ambito dello stesso contratto quadro di cui è stata chiesta la nullità.

Solo nel caso in cui il petitum superi il suddetto vantaggio economico si realizza, per la Corte, un effettivo "pregiudizio". Ne consegue che se " … i rendimenti degli investimenti non colpiti dall'azione di nullità superino il petitum, l'effetto impeditivo  … [dell'eccezione di buona fede] … è integrale, ove invece si determini un danno per l'investitore, anche all'esito della comparazione con gli altri investimenti non colpiti dalla nullità selettiva, l'effetto paralizzante dell'eccezione opererà nei limiti del vantaggio ingiustificato conseguito."

In ragione di questo preciso criterio, al fine di operare una difesa efficiente, la quale consenta di "paralizzare" integralmente o parzialmente la domanda del cliente-attore volta ad ottenere ex art. 2033 c.c. (e dunque a titolo di indebito oggettivo derivante dalla declaratoria di nullità del contratto quadro) la restituzione del quantum corrisposto ai fini del perfezionamento del singolo investimento, occorrerà dedicare particolare cura ed attenzione alla ricostruzione contabile complessiva degli strumenti finanziari acquistati dall'investitore nel corso del proprio rapporto con l'intermediario, sì da porre appunto - ovviamente nel caso di positivo esito di tale indagine - precisi fatti costitutivi alla base dell'eccezione di violazione del dovere di buona fede.

Ciò non solo consentirà di impostare adeguatamente le difese, ma permetterà anche di valutare correttamente gli appostamenti da porre a bilancio per fronteggiare il rischio di causa ed eventualmente, sulla base di questa quantificazione del rischio, avviare trattative per un'equa composizione transattiva.

Circa il "quando procedere" con l'allegazione dei fatti costitutivi dell'exeptio doli generalis  da parte dell'intermediario convenuto in giudizio, essa generalmente dovrà avvenire con la prima difesa utile successiva all'instaurazione del contraddittorio sul punto ad opera del cliente-attore. Nel caso in cui la nullità venga introdotta da controparte solo con la memoria ex art. 183. c.p.c.– possibilità, questa, ammessa in base al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la nota sentenza n. 12310/2015[5] - l'intermediario dovrà del pari ricordarsi di sollevare l'eccezione con la successiva prima difesa.

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Le sintetiche considerazioni sin qui esposte consentono di rimarcare il rilevante impatto che, almeno sul piano potenziale, la sentenza delle Sezioni Unite in commento potrà avere sul contenzioso degli intermediari, tenuto conto anche che - sebbene la pronuncia sia stata occasionata da uno dei tanti procedimenti relativi all'esecuzione di ordini sul mercato secondario di titoli andati poi in default - la sua portata applicativa potrebbe riferirsi anche a controversie, statisticamente meno numerose, relative ad altri prodotti finanziari e servizi di investimento per i quali, come sopra ricordato, opera sempre l'obbligo di forma scritta del contratto quadro di cui all'art. 23, comma 3 del TUF. Un intermediario potrebbe così, ad esempio, sollevare l'eccezione di buona fede nei termini prospettati dalle Sezioni Unite nei confronti di un cliente che, dopo aver contestato la nullità di un contratto quadro di collocamento e sottoscritto in tale ambito vari prodotti di risparmio gestito (es. OICR) o titoli sul mercato primario, decida poi di agire per la dichiarazione di invalidità dell'unico prodotto che, tra quelli acquistati, sia risultato in perdita. Osservata da questa prospettiva, la pronuncia delle Sezioni Unite non sembra affatto ridurre la tutela giurisdizionale offerta agli investitori, essendo piuttosto ispirata dall'esigenza di evitare che questa tutela assuma tratti eccessivamente protezionistici e, andando oltre le stesse finalità per cui è stata introdotta nell'ordinamento, produca un ingiustificato pregiudizio agli intermediari e - in ultima analisi - alla stabilità, al buon funzionamento ed alla competitività del sistema finanziario.   


NOTE

[1] Si ricorda, infatti, che in base al combinato disposto dell' art. 23, comma 3, TUF  e dell'art. 37 del Regolamento Consob n. 20307/2018 (Regolamento Intermediari) l'obbligo di avvalersi di un contratto scritto - ed il connesso onere di consegna preventiva al cliente di tale scritto - si riferiscono alla prestazione di tutti i servizi di investimento, ivi compresa la consulenza in materia di investimenti quando è previsto " … lo svolgimento di una valutazione periodica dell'adeguatezza degli strumenti finanziari o dei servizi raccomandati  … ". Per quanto attiene all'attività di distribuzione assicurativa, che assume sempre più rilevanza anche nell'ambito dell'offerta finanziaria, il citato art. 37 del Regolamento Intermediari trova allo stato applicazione, in base al rinvio contenuto nell' art. 132, comma 1 dello stesso Regolamento, alla distribuzione dei "prodotti finanziari assicurativi" (tra cui rientrano le polizze ramo III e ramo V). Va però anche ricordato come nel documento di consultazione Consob per le modifiche al Regolamento Intermediari conseguenti al recepimento della Direttiva IDD detto rinvio non è più presente. Nell'assetto regolamentare che si sta delineando, quindi, sembra che per la distribuzione dei prodotti di investimento assicurativi di cui al Regolamento (UE) n. 1286/2014 (PRIIPs) non sarà più presente un'espressa previsione che impone l'obbligo di forma scritta, ferma restando la necessità del documento probatorio delle polizze di cui all'art. 1888, c.c. Va detto anche, per dover di cronaca, che molti intermediari di fatto includono l'attività di distribuzione assicurativa nel contratto che regola la prestazione dei servizi di investimento, estendendo con ciò di fatto alla suddetta attività, il requisito della forma scritta.

[2] In tale direzione si veda Raffaele Lener e Paola Lucantoni, in Il Testo Unico della Finanza, a cura di Marco Fratini e Giorgio Gasparri, Padova, 2012, Tomo I, 406, ove - anche tramite altri richiami di dottrina - si evidenziano bene gli spazi che la nullità relativa offre a possibili comportamenti opportunistici e ad un uso pretestuoso del diritto. In questa prospettiva è di certo condivisibile per gli intermediari quanto si legge in Andrea Perrone, Less is more. Regole di comportamento e tutele degli investitori, in Banca e Borsa e Titoli di Credito, 2010, 537-556, ove si dubita addirittura che la sanzione della nullità sia proporzionata in termini di legal risk " … e ciò soprattutto quando si consideri che il contenuto imposto dalle norme regolamentari attiene al rapporto contrattuale tra l'intermediario e l'investitore, mentre i possibili pregiudizi a detrimento di quest'ultimo dipendono, prevalentemente, da scelte di investimento operate senza adeguata cognizione di causa. Di qui la ragionevolezza de lege ferenda di una sostituzione della sanzione invalidante con un rimedio di tipo obbligatorio …".      

[3] Si veda Cass. Civ. Sez. I, sentenza n. 8395 del 27 aprile 2016, richiamata nella decisione delle Sezioni Unite in esame, con cui – sovvertendo un'argomentata decisione in appello - la Suprema Corte aveva precisato:  " … il requisito della forma scritta ad substantiam per il contratto quadro non determina una modificazione della qualificazione giuridica della nullità che consegue all'inosservanza dell'obbligo di forma. Anche tale nullità è rilevabile esclusivamente dall'investitore ed configurabile come nullità di protezione …", con la conseguenza che " …  l'investitore ex art. 99 e 100 c.p.c. può selezionare il rilievo della nullità e rivolgerlo agli acquisti (o più correttamente i contratti attuativi del contratto quadro) di prodotti finanziari dai quali si è ritenuto illegittimamente pregiudicato, essendo gli altri estranei al giudizio …" ed aggiungendo anche che la " … rilevabilità d'ufficio, peraltro non incondizionata, delle nullità di protezione, affermata … dalle S.U. nella sentenza n. 26242 del 2014, si limita a configurare la possibilità di estendere l'accertamento giudiziale anche a cause di nullità protettive non dedotte dalle parti senza tuttavia consentirne il rilievo anche ad atti diversi da quelli verso i quali la censura è rivolta …".

[4] Il tema era stato introdotto dalla Cassazione già in alcune ordinanze interlocutorie del 2017 e poi in altre del 2018; in particolare, con ordinanza  n. 23927/2018 - dalla quale è scaturito il giudizio culminato con la sentenza qui in commento - era stata posta in evidenza la questione della compatibilità tra il regime delle nullità protettive nei contratti d'intermediazione finanziaria e l'opponibilità della "eccezione di correttezza e di buona fede" e, con ordinanza n. 6664/2918 – pure citata nella decisione delle Sezioni Unite - era stata cassata e  inviata alla Corte di Appello di Milano una decisione che aveva ritenuto precluso all'intermediario di poter sollevare l'eccezione di compensazione con riguardo all'intero credito restitutorio che le deriva, in tesi, dal complesso delle operazioni compiute nell'ambito del contratto quadro dichiarato nullo.

[5] "La modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l'allungamento dei tempi processuali. Ne consegue che deve ritenersi ammissibile la modifica, nella memoria all'uopo prevista dall'art. 183 c.p.c., della iniziale domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto in domanda di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo".