La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
LO STATO IMBRIGLIATO: IL PIANO PER LE INRASTRUTTURE E LA BUROCRAZIA
20/Dicembre/2018
Attualità

Le grandi opere continuano ad essere il simbolo di tanti mali italiani, di uno in particolare: la burocrazia. Dalla tragedia del Ponte Morandi, a Genova, il dibattito sulla ristrutturazione e l'innovazione delle infrastrutture italiane è tornato centrale nel dibattito politico, con l'attuale Governo che si è più volte dichiarato pronto ad un "rilancio degli investimenti", così come ad una rapida "riformulazione del Codice degli Appalti", ed al tradizionale "sostegno alle imprese".

Nella realtà dei fatti, però, il CIPE (Comitato Interministeriale di programmazione economica) non delibera più nulla a causa di veti politici e lungaggini parlamentari, avendo all'attivo solo due sedute, convocate dal Sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Tradotto nell'atto pratico: in Italia i lavori non cominciano mai.

Il paradosso di questa storia è che i fondi per gli investimenti sono disponibili da tempo. L'ANCE (Associazione dei Costruttori) segnala che dopo due anni si è speso meno del 4% della dotazione prevista nel piano infrastrutturale del precedente Governo ( Letta/Renzi/ Gentiloni), e che negli ultimi tre anni si è registrato un gap di 10 miliardi di euro fra previsione di spesa e risultato finale. Un problema antico dunque, sul quale nessuno è ancora riuscito a trovare soluzioni definitive.

L'esecutivo ha nuovamente potenziato la capacità di spesa sulle infrastrutture (49.5 miliardi in 15 anni per le amministrazioni centrali e 40 miliardi per gli enti territoriali); cifre che si sommano a quelle già stanziate dai Governi Renzi e Gentiloni : il problema non sono quindi i fondi a disposizione.

La causa di questa incapacità di concretizzare, però, si cela nell'iter parlamentare con cui le proposte vengono formulate, processate ed accolte: un turbinio di decreti, firme, pareri, per il quale non si arriva mai ad una decisione rapida. In tutto questo, il CIPE, ente delegato ad avere l'ultimo timbro nell'approvazione dei singoli progetti, a causa delle lungaggini burocratiche e dell'idea del Ministro Toninelli di sottoporre i progetti all'analisi costi- benefici, è stato costretto a rimandare, quest'anno, quasi ogni seduta.

E se, per ipotesi, fosse miracolosamente superata l'impasse fra esecutivo e CIPE? La risposta è che probabilmente ciò non basterebbe, perché all'atto pratico di assegnazione dei lavori si presenterebbe un mostro finale: il Codice degli Appalti.

Le associazioni di categoria si continuano a dichiarare vittime di quello che doveva essere un codice atto a garantire la legalità, ma per mezzo del quale - effectus trascendit finem - si è finito per imbrigliare le società appaltatrici in un nuovo gorgo burocratico: fra termini per la partecipazione alle gare, ricorsi, quantità di carte da compilare, enti con cui interfacciarsi.

Il Governo si è più volte detto pronto a riformularlo, di concerto con le associazioni e le imprese, sempre stante il suo ruolo guida per la commissione dei lavori, ma la verità è che, in tal senso, non si è ancora fatto nulla, se non qualche annuncio per mezzo della stampa.

Nel frattempo le società di costruzioni italiane sono tutte – o quasi – in seria difficoltà: i cantieri non partono, lo Stato non paga in tempi certi, e a ciò si sommano alcuni casi di mala gestio e le difficoltà di stare su un mercato internazionale senza essersi adeguatamente preparati per tempo, fidandosi della richiesta di un mercato interno ormai bloccato e costretto, in ogni caso, ad aprire le proprie gare anche a società europee e mondiali.

Il risultato di queste dinamiche è quello noto: in Italia non si sono ancora realizzate importanti infrastrutture capaci di aumentare la produttività, l'export etc.; non si eseguono grandi piani di ristrutturazione di quelle esistenti, mettendo a rischio l'incolumità di tutti; non si finiscono i vecchi progetti a causa delle proteste dei Comitati, dei ricorsi in tribunale o per motivi politici; non si aprono nuovi cantieri per le suddette ragioni, limitando la capacità di occupazione in un settore cruciale per il rilancio del Paese nel mondo.