La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Svolta nel credito al consumo e nella cessione del quinto? Rischioso orientamento della Corte di Giustizia Europea.
13/Novembre/2019
Attualità economiche sociali

L'11 settembre scorso la Corte di Giustizia dell'Unione Europea si è pronunciata in merito ad una domanda pregiudiziale proposta dal Tribunale circondariale di Lublino in Polonia.

La questione sollevata ha riguardato l'interpretazione dell'articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008 "relativa ai contratti di credito ai consumatori", che così dispone: "il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto".

La Corte, dopo aver esaminato il contesto normativo, l'applicazione nei diversi diritti nazionali e la specifica questione sollevata nel procedimento principale, si è espressa dichiarando che l'articolo in parola "deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore".

L'interpretazione letterale della massima espressa dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha generato nel comparto bancario e finanziario un'ampia e approfondita analisi normativa, anche attraverso le principali associazioni di categoria, ABI e Assofin, e illustri professionisti di chiara fama in ambito giuridico.

Da tali approfondimenti è emerso che non ci troviamo in un'ipotesi di mancata trasposizione della Direttiva all'interno del diritto nazionale, che, come tale, potrebbe giustificare l'applicazione diretta della norma comunitaria.

Infatti l'articolo 16 della Direttiva Europea 2008/48/CE è stato trasposto dal legislatore italiano nella normativa interna con l'introduzione, attraverso il D.Lgs. n. 141/2010, dell'articolo 125 sexiesdel Testo Unico Bancario, che così dispone: "Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto".

E' inoltre fermo il convincimento che la sentenza di cui si parla esprima un principio di carattere generale che è già stato declinato e applicato nel nostro ordinamento, nel pieno rispetto della tutela del consumatore.

Tale principio è stato altresì ulteriormente declinato dalle disposizioni regolamentari e dagli interventi della Banca d'Italia, quali, da ultimo in ordine di tempo, gli Orientamenti di Vigilanza del marzo 2018 sulla cessione del quinto dello stipendio, che hanno inteso rafforzare la tutela del consumatore attraverso una chiara determinabilità e migliore comprensibilità e comparabilità dei costi applicati, anche in caso di rimborso anticipato di un finanziamento di credito al consumo, con l'obiettivo di applicare la c.d. "trasparenza sostanziale".

A differenza di quanto espresso dalla sentenza della Corte, il regolatore nazionale ha infatti effettuato una valutazione "qualitativa" dei costi applicati ai consumatori, distinguendo tra costi up-fronte costi recurring.

Invero la parte delle voci di costo che compongono il "costo totale del credito" (così come definito dalla Direttiva europea) che deve essere restituita in caso di rimborso anticipato del finanziamento, ai sensi del citato articolo 125sexiesdel TUB, sono quelli a maturazione nel corso della durata residua del finanziamento (al pari degli interessi, che sono restituiti solo qualora non maturati – e non potrebbe essere altrimenti!).

Al contrario non vengono restituiti, in caso di estinzione anticipata del finanziamento i costi che non dipendono dalla durata del rapporto ma che costituiscono oneri "fissi", già integralmente sostenuti dal finanziatore al momento dell'erogazione e necessari per il perfezionamento dell'operazione. Trattasi in particolare e a titolo esemplificativo di oneri sostenuti per l'istruzione della pratica, quali i costi per l'esame della richiesta di finanziamento, i costi di verifica nelle banche dati al fine delle valutazioni di merito creditizio e ai fini antiriciclaggio, i costi della notifica del finanziamento. A ciò aggiungasi i costi che il finanziatore corrisponde a favore di terzi, quali gli oneri fiscali  e le provvigioni pagate alla rete di vendita per l'offerta fuori sede: tali costi, una volta sostenuti per il perfezionamento del finanziamento, entrano nella sfera giuridico-patrimoniale di un soggetto terzo e pertanto non sono restituibili.

A quest'ultimo riguardo anche la Commissione UE, nelle osservazioni presentate nel corso della causa innanzi alla Corte di Giustizia Europea, ha escluso che i costi sostenuti dal consumatore finalizzati all'erogazione del credito, che riguardano un determinato servizio, già fornito nella sua interezza, debbano essere oggetto di rimborso in caso di estinzione anticipata del finanziamento.

La Corte inoltre lascia aperta la definizione dei criteri di rimborso degli oneri in caso di estinzione anticipata del finanziamento.

Anche su tale questione, al contrario, sia la normativa regolamentare italiana sia l'orientamento giurisprudenziale e dell'Arbitro Bancario Finanziario hanno confermato e avvalorato il metodo di calcolo della riduzione del "costo totale del credito", nello specifico gli oneri a maturazione nel tempo, attraverso l'utilizzo del metodo del pro-rata temporis.

Alla luce di tali interpretazioni giuridiche è palese che la sentenza della Corte abbia ingenerato una incertezza di diritto sul significato dell'articolo 16 della Direttiva europea, che, come rilevato anche dall'Avvocato Generale Hogan, nell'ambito della causa discussa dalla Corte, "è per certi aspetti quantomeno oscuro e non si presta facilmente ad una interpretazione soddisfacente".

È pur vero che la Direttiva 2008/48/CE, per come interpretata dalla Corte, non può trovare applicazione rispetto ai rapporti privatistici tra intermediario e consumatore.

Il consumatore infatti non può invocare singolarmente la sentenza della Corte in controversie incardinate innanzi al giudice nazionale, che è tenuto ad applicare il diritto interno e nel caso di specie l'art. 125 sexiesdel TUB.

Inoltre al finanziatore non può essere attribuita responsabilità alcuna in ordine all'applicazione della normativa nazionale, avendo operato in conformità ad essa e, comunque, in linea con i principi esposti dalla Corte di Giustizia Europea, a tutela dei consumatori.

Tuttavia una interpretazione letterale e non contestualizzata della sentenza in parola potrebbe ripercuotersi sul mercato del credito e sulla morfologia dello stesso, con danno indiretto sui consumatori.

Si auspica dunque che la vicenda trovi una risoluzione univoca e oggettiva, onde evitare inutili contenziosi in ambito bancario e finanziario, proprio in un momento storico in cui l'impegno congiunto degli operatori del comparto e dell'Autorità di Vigilanza ha consentito una riduzione dei ricorsi innanzi all'ABF.