La Rivista
2020
N° 1 - 2 Gennaio - Giugno 2020
Il Sud da recuperare
24/Ottobre/2019
Attualità economiche sociali

di Lorenzo Guidantoni

Con un Pil previsto dallo Svimez al -0.3% per il 2019, ed una crescita stimata solo al +0.5% fra 2020 e 2023, il Sud continua a vivere una situazione in bilico fra la stagnazione e la recessione, con riflessi su una società che ha visto emigrare, negli ultimi quindici anni,  oltre 720 mila persone.

Per il Direttore Generale dell'OBI (Osservatorio Regionale Banca – Imprese) Antonio Corvino, il contributo del Sud all'economia italiana era del 24.7% nel 2000,ma  si arriverà al 22.6%, entro il 2023.

In dieci anni, 200 mila giovani laureati hanno lasciato i posti natali per emigrare verso le regioni settentrionali o verso l'estero, generando un vuoto demografico e abitativo che si somma agli altri problemi,  quelli di ordine infrastrutturale in primis,  alla base di una crescita e di uno sviluppo insani, che spesso fa leva sul nero per sopravvivere.

La politica continua con un'opera di assistenzialismo ed incentivi alle imprese, affannata nel tentativo di ristrutturare qualcosa che va nuovamente ricostruito dopo lo tsunami della crisi 2008, mai recuperato né sotto il punto di vista occupazionale (1 milione e 400 mila occupati in meno), né da quello economico.

Vivono nel Mezzogiorno 20 milioni di italiani di cui solo 6 lavorano, spesso con contratti a tempo determinato, laddove il lavoro pubblico, usato per decenni come ammortizzatore sociale,  non riesce più a garantire l'occupazione di un tempo.

Nell'intermezzo di ogni scelta politica, si segnala che il manifatturiero, colonna portante dell'economia del Mezzogiorno, insieme all'agricoltura, sta subendo i contraccolpi di un rallentamento nazionale preoccupante, attraverso il quale si rischia di sfibrare ulteriormente il tessuto economico e sociale di una società e di un mondo dell'impresa già in difficoltà, salvo rare eccezioni.

Le ricette per il rilancio del Sud non mancano: dalla proposta del DG per la politica regionale della Commissione UE, Marc Lemaitre, che invita l'Italia a spendere i fondi europei inutilizzati (58 miliardi su 75!), alla maggiore spesa per la ricerca e gli investimenti in aziende meritevoli, come suggerito dall'AD Arcuri di Invitalia, i problemi di natura strutturale, però, rischiano di soffocare ogni proposta. 

In questo senso,  è sempre più forte la necessità di una politica industriale mirata e confacente con la struttura territoriale in cui si vuole creare un meccanismo di economia circolare virtuosa. 

Per fare un esempio: costruire una nuova Termini Imerese, senza collegamenti validi con il continente, non è più possibile; questo, seppur scontato, dovrebbe essere il punto di partenza di ogni nuovo investimento promosso al Sud.

Altra idea che si prospetta è la "Banca per il Sud".

Anche questa soluzione, però, rischia di essere un approccio episodico, sganciato da un tessuto economico e sociale che, come usualmente si dice "non può incidere lì dove il cavallo non beve".

Le forze politiche, vista la situazione drammatica, dovrebbero convergere in un patto per il Sud che trovi punti d'incontro all'interno progetto strategico corale.

Tale piano dovrebbe avere obiettivi chiari, realistici e tempi di realizzo possibili,  garantiti anche dagli esecutivi che verranno,  onde evitare il riformismo sconsiderato di questi anni, in cui ogni Governo ha disfatto ciò che era stato realizzato in precedenza per attuare la propria, miracolosa, dispendiosa e fallace ricetta.

Circa le risorse, fondamentali nella realizzazione di un piano per il Sud, il loro reperimento dovrebbe avvenire all'interno di quei 52 miliardi di euro di fondi europei che ancora non abbiamo utilizzato e che adesso rischiamo di far tornare a Bruxelles, perdendo una nuova, ulteriore, possibilità di riscatto.

Per il Direttore Generale dell'OBI (Osservatorio Regionale Banca – Imprese) Antonio Corvino, il contributo del Sud all'economia italiana era del 24.7% nel 2000,ma  si arriverà al 22.6%, entro il 2023.

In dieci anni, 200 mila giovani laureati hanno lasciato i posti natali per emigrare verso le regioni settentrionali o verso l'estero, generando un vuoto demografico e abitativo che si somma agli altri problemi,  quelli di ordine infrastrutturale in primis,  alla base di una crescita e di uno sviluppo insani, che spesso fa leva sul nero per sopravvivere.

La politica continua con un'opera di assistenzialismo ed incentivi alle imprese, affannata nel tentativo di ristrutturare qualcosa che va nuovamente ricostruito dopo lo tsunami della crisi 2008, mai recuperato né sotto il punto di vista occupazionale (1 milione e 400 mila occupati in meno), né da quello economico.

Vivono nel Mezzogiorno 20 milioni di italiani di cui solo 6 lavorano, spesso con contratti a tempo determinato, laddove il lavoro pubblico, usato per decenni come ammortizzatore sociale,  non riesce più a garantire l'occupazione di un tempo.

Nell'intermezzo di ogni scelta politica, si segnala che il manifatturiero, colonna portante dell'economia del Mezzogiorno, insieme all'agricoltura, sta subendo i contraccolpi di un rallentamento nazionale preoccupante, attraverso il quale si rischia di sfibrare ulteriormente il tessuto economico e sociale di una società e di un mondo dell'impresa già in difficoltà, salvo rare eccezioni.

Le ricette per il rilancio del Sud non mancano: dalla proposta del DG per la politica regionale della Commissione UE, Marc Lemaitre, che invita l'Italia a spendere i fondi europei inutilizzati (58 miliardi su 75!), alla maggiore spesa per la ricerca e gli investimenti in aziende meritevoli, come suggerito dall'AD Arcuri di Invitalia, i problemi di natura strutturale, però, rischiano di soffocare ogni proposta. 

In questo senso,  è sempre più forte la necessità di una politica industriale mirata e confacente con la struttura territoriale in cui si vuole creare un meccanismo di economia circolare virtuosa. 

Per fare un esempio: costruire una nuova Termini Imerese, senza collegamenti validi con il continente, non è più possibile; questo, seppur scontato, dovrebbe essere il punto di partenza di ogni nuovo investimento promosso al Sud.

Altra idea che si prospetta è la "Banca per il Sud".

Anche questa soluzione, però, rischia di essere un approccio episodico, sganciato da un tessuto economico e sociale che, come usualmente si dice "non può incidere lì dove il cavallo non beve".

Le forze politiche, vista la situazione drammatica, dovrebbero convergere in un patto per il Sud che trovi punti d'incontro all'interno progetto strategico corale.

Tale piano dovrebbe avere obiettivi chiari, realistici e tempi di realizzo possibili,  garantiti anche dagli esecutivi che verranno,  onde evitare il riformismo sconsiderato di questi anni, in cui ogni Governo ha disfatto ciò che era stato realizzato in precedenza per attuare la propria, miracolosa, dispendiosa e fallace ricetta.

Circa le risorse, fondamentali nella realizzazione di un piano per il Sud, il loro reperimento dovrebbe avvenire all'interno di quei 52 miliardi di euro di fondi europei che ancora non abbiamo utilizzato e che adesso rischiamo di far tornare a Bruxelles, perdendo una nuova, ulteriore, possibilità di riscatto.